7_Vita, Amore e Morte nei miti greco-italici / VENERE – AFRODITE

di Ciro A. R. Abilitato

già pubblicato in questo sito il 26-05-2011

AFRODITE

Afrodite, identificata a Roma con l’antica divinità italica Venere, è la dea greca dell’amore, della bellezza, della giovinezza e del desiderio. Essa incarna la potenza generativa della Natura riferita al suo elemento femminile, e di conseguenza simboleggia la fecondità e la femminilità. Esperta nelle arti amorose, la dèa è ineguagliabile maestra di seduzione: nessuno − né animali, né uomini, né dèi − può restare indifferente alla sua bellezza o resistere alla forza ammaliatrice del suo fascino. Non a caso Peithō, la persuasione, ritenuta in genere figlia di Prometeo oppure di Ate (l’Errore), figura nel corteo delle divinità secondarie al seguito di Afrodite, con la quale è spesso confusa . La dèa non ha come prerogativa il dominio violento e la forza fisica delle divinità guerriere; le sue armi, ben più efficaci, sono quelle della dolcezza e della seduzione. Non c’è un solo essere vivente, nel cielo, sulla terra e nel mare, che possa sottrarsi alla potenza delle forze che sono al suo servizo: Peithō, ‘la persuasione’, Apatē, ‘la seduzione ingannatrice’, Philotēs, ‘il legame amoroso’. Ci sono in tutto l’universo soltanto tre dee capaci di disarmare queste forze: Athena, Artemis, Hestia. Irremovibili nella loro decisione di restare vergini, esse oppongono a Citerea un cuore così fermo e una volontà così costante che né i raggiri di Pheitō, né le seduzioni di Apatē riescono a modificare il loro proposito e a indurle a cambiar condizione.

Due differenti tradizioni riferiscono intorno alla nascita di Afrodite; la più nota la indica come figlia di Uràno, i cui genitali, recisi da Crono, caddero in mare e generarono la dea, la quale è perciò nota come la “dèa sorta dalla spuma (àphros) del mare” o “dalle Onde” o “dal solo seme del padre”. Afrodite è divinità asiatica, analoga ad altre divinità d’oriente, quali Astarte di Fenicia, Atargatis di Ascalona, Mylitta di Babilonia, Isthar d’Assiria, e così via. Il suo culto fu introdotto a Citera e a Cipro dai Fenici e di qui passò a Creta, nelle Cicladi e nell’Attica, ma fu portato nello stesso tempo anche in Sicilia, dove le fu consacrato un tempio sul monte Erice (od. Monte San Giuliano), che divenne un altro dei maggiori centri del suo culto, da cui l’appellativo di Ericìna. Essendo nata dal mare, il simbolo dell’acqua è strettamente associato a questa divinità, considerata protettrice di porti, anfratti e insenature, e che veniva venerata su promontori in prossimità dei litorali. Una tradizione più tarda la vuole invece figlia di Zeus e di Dióne.
Secondo la tradizione più antica, Afrodite viene direttamente generata dal seme di Uràno (il Cielo stellato), dio primigenio, personificazione del Cielo che feconda la Terra per mezzo della pioggia. Come sposo di Gaia (la Terra), che egli solo può ricoprire interamente, Urano è padre di molti figli, fra cui i sei Titàni, le sei Titanidi, i tre Ciclopi e i tre Ecatonchìri (Centìmani): tutti esseri primordiali dotati di forza prodigiosa, che il padre relegò nel profondo Tàrtaro, sia perché li odiava (il cielo stellato è nemico delle tempeste, dei lampi, dei fulmini e dei terremoti che scuotono la terra), sia perché temeva che qualcuno di questi suoi figli potesse spodestarlo dalla signoria dell’universo. Ma Gea indusse i Titani a ribellarsi contro lo snaturato e prepotente genitore, sicché il più giovane di essi, Crono, assalì nel sonno il padre, gli recise i testicoli con un falcetto fornitogli dalla madre e liberò i fratelli, tenendo per sé il dominio del mondo. Dal sangue di Urano caduto sulla Terra nacquero le Erinni (le Furie), i Giganti e le Melìadi (le Ninfe dei frassini), mentre la falce servita per l’evirazione, precipitò in mare e rimase ancorata sul fondo, dove mettendo radici formò l’isola di Corfù (nel qual caso i Feaci nacquero dalle gocce del sangue raggrumato sulla lama), o forse la città di Messina (anticamente chiamata Zàncle ‘falce’), o ancora il capo Drèpanon, spesso indicato come il luogo della mutilazione. Si conoscono tuttavia una mezza dozzina di promontori così denominati: uno sulla costa settentrionale del Peloponneso, un altro nell’isola di Creta, delimitante a nord la Baia di Suda, un terzo nei pressi di Trapani, e così via. Afrodite, invece, nacque dalla spuma del Mar Mediterraneo orientale in una splendida giornata di primavera. Appena uscita dai flutti fu portata da Zèfiro prima sull’isola di Kythera (Citèra, odierna Cèrigo, nello Ionio sud-orientale) e poi a Pafo, sulla costa occidentale di Cipro, ove sorse il principale centro del suo culto (tipici sono gli epiteti di Citerèa, di Cìpride, di Ciprigna e di Pàfia). Qui, accolta dalle Ore (le Stagioni), fu da queste vestita e agghindata e condotta presso gli Immortali. Una leggenda riferita da Luciano vuole che la dèa, prima di essere portata a Citèra, sia stata allevata da Nerèo, il vecchio del mare. Questi è un dio marino benefico, annoverato fra gli dèi che presiedono alle forze elementari del Mondo, appartenente alla generazione che precede gli dèi dell’Olimpo e quindi più antico di Poseidone. Più tardi Platone immaginò l’esistenza di due diverse Afroditi: quella nata da Uràno (il Cielo stellato), detta Afrodite Urania (Celeste), dea dell’amore puro, spirituale, e la figlia di Zeus e Dióne, detta Afrodite Pandèmia (cioè l’Afrodite popolare), dea dell’amore comune o volgare. Ma questa è un’interpretazione tardiva, estranea ai più antichi miti della leggenda.

Afrodite è dotata di una potente charis, ossia di una forza divina che si manifesta in tutte le forme del dono e dello scambio e che, in una delle accezioni più antiche del termine, designa il dono che la donna fa di sé all’uomo. Non a caso Hermes, strettamente associato alle Charites (Hermes Charidótēs), svolge anche lui una sua parte nell’unione dei sessi e appare, accanto ad Aphrodite, come dotato di peithō, di persuasione, e perciò capace di smuovere le decisioni più ferme e di indebolire le opinioni più consolidate.
Attorno al nome di Afrodite si sono formate numerose leggende che tuttavia non costituiscono un corpus coerente, rimanendo episodi nei quali la dea interviene.
Il mito più diffuso vuole Afrodite sposa di Efèsto, il dio zoppo di Lemno, ma ella fu anche l’amante di Ares. Quando il dio guerriero si incontrava con lei, soleva lasciare di sentinella alla porta il suo servitore Alettrióne, con l’incarico di avvertirlo dell’approssimarsi del giorno. Ma in occasione di uno di questi incontri Alettrione si assopì, sicché al mattino i due amanti furono sorpresi dal Sole, che vide tutto e subito corse a riferire la cosa a Efèsto. Questi allora, senza dir nulla, preparò in segreto una trappola portentosa: una rete invisibile che lui solo poteva manovrare e che dispose intorno al letto della moglie. Una notte in cui i due amanti erano riuniti nel letto, Efèsto richiuse su di loro la rete, che subito immobilizzò i due colpevoli impedendo loro ogni movimento, mentre lui si precipitò a chiamare come testimoni tutti gli dèi dell’Olimpo. Questi allora accorsero, e allo spettacolo offerto dai due amanti furono presi da un riso irrefrenabile. Pregato da Poseidone, Efèsto acconsentì a ritirare la rete, lasciando che la dèa fuggisse piena di vergogna verso Cipro e Ares verso la Tracia. Naturalmente, poi Ares sfogò la sua collera sul servitore, e per punirne la pigrizia lo trasformò in gallo, costringendolo a dare ogni giorno per primo il segnale del sorgere del sole.

Dagli amori di Ares e Afrodite nacquero Èros (Amore), Ànteros (il Controamore), Deimos e Phobos (il Terrore e la Paura, due demoni che accompagnano Ares sul campo di battaglia, spesso rappresentati sotto forma di nervosi corsieri), Armonìa (che divenne più tardi a Tebe moglie di Cadmo), e talvolta si aggiunge a questa lista Priàpo, il dio di Lampsaco, il protettore dei giardini (poiché, secondo alcune tradizioni, Afrodite è considerata dea dei giardini, anche se ciò è vero soprattutto per l’italica Venere).
Gli amori di Afrodite non si limitarono però ad Ares. Allorché Mirra, diventata un albero, ebbe partorito Adone, Afrodite raccolse il fanciullo, che era di una grande bellezza, e lo affidò a Persefone, la quale però non volle più restituirglielo. Il caso fu sottoposto a Zeus, il quale decise che il giovane sarebbe dovuto rimanere un terzo dell’anno con Persefone, un terzo con Afrodite e un terzo dove desiderava. Ma Adone restava un terzo dell’anno con Persefone e due terzi con Afrodite. Presto, ferito a morte da un cinghiale, Adone morì, forse vittima della gelosia di Ares.
La dea amò pure Anchise, sull’Ida di Troade, e ne ebbe due figli, Enea e, secondo alcune tradizioni, Lirno. La collera e le maledizioni di Afrodite erano proverbiali. Per punire Eos (l’Aurora) che aveva ceduto ad Ares, le ispirò un amore insuperabile per Orione. Castigò parimenti tutte le donne di Lemno, perché non la onoravano, affliggendole con un odore nauseabondo, dimodoché i loro mariti le abbandonarono per delle prigioniere tracie. Le Lemnie uccisero tutti gli uomini dell’isola e fondarono una società di donne, che rimase attiva fino al giorno in cui gli Argonauti vennero a dare loro dei figli. Afrodite punì, a Pafo, anche le figlie del re di Cipro, Cinìra, costringendole a prostituirsi a stranieri. Non meno pericoloso era d’altronde il suo fervore. Un giorno, la Discordia lanciò una mela destinata ad essere accordata alla più bella delle tre dee, Era, Atena, Afrodite. Zeus ordinò ad Ermes di portarle tutte e tre sull’Ida di Troade per esservi giudicate da Alessandro, quello che più tardi sarà conosciuto col nome di Pàride. Le tre dee si disputarono alla presenza del giovane, vantando la loro bellezza e promettendogli regali allettanti. Era gli offrì la monarchia universale, Atena l’invincibilità in guerra, mentre Afrodite gli promise la mano di Elena. Fu scelto quest’ultimo dono, che fu, come sappiamo dalle vicende successive, all’origine della guerra di Troia.
Durante tutta la guerra, Afrodite accordò la sua protezione ai Troiani, e a Paride in particolare. Allorché Paride combatté in singolar tenzone contro Menelào, e fu sul punto di soccombere, ella lo sottrasse al pericolo e provocò l’incidente che aprì le ostilità generali. Più tardi protesse anche Enea che stava per essere ucciso da Diomède. Quest’ultimo ferì anche la dea, ma la protezione di Afrodite non poté impedire la caduta di Troia e la morte di Paride. Tuttavia ella riuscì a conservare la stirpe troiana e grazie a lei, Enea, col padre Anchise e il figlio Iulo (o Ascanio), portando i Penati da Troia, riuscì a fuggire dalla città in fiamme e a cercare una terra dove darsi una nuova patria. In tal modo Roma aveva come particolare protettrice Afrodite-Venere. La dèa passava quindi per antenata degli Iulii, i discendenti di Iulo e dunque di Enea. Per questo Cesare, appartenente alla gens Iulia, edificò un tempio dedicato a Venere Madre (Venus Genetrix).

Afrodìsie era il nome con cui si indicavano genericamente le feste in onore di Afrodite, che si celebravano a Cipro, sede principale del culto della dèa, nonché a Corinto, ad Atene, ad Argo e a Samo, e che comprendevano processioni, giochi e manifestazioni di grande licenziosità. Gli animali favoriti della dea erano la colomba, il cigno e il passero. Un tiro di colombe trascinava il suo carro, adorno delle sue piante preferite, che erano la rosa e il mirto.

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4 risposte a 7_Vita, Amore e Morte nei miti greco-italici / VENERE – AFRODITE

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