IL PRESEPE, COME UN MANDALA

di Ciro A. R. Abilitato

SrenusBloom _ Presepe 2017

Questo presepe impegna una superficie inferiore a 1 metro quadro ed occupa un volume che non arriva a 1 metro cubo. Le sue dimensioni sono infatti 94 cm di larghezza, 74 cm di profondità, 77 cm di altezza. Si può perciò ben dire che esso si racchiuda in un abbraccio.

L’intero diorama è stato allestito in 30 giorni di lavoro, utilizzando i materiali più semplici, quali carta da imballaggio, cartone, polistirolo, un po’ di sughero, come la tradizione dell’arte presepiale napoletana richiede, stucchi e collanti, senza un disegno di progetto e senza l’ausilio di mezzi elettronici. Ogni elemento, dal più grande al più piccolo (esclusi i pastori, che comprai una quindicina d’anni fa a San Gregorio Armeno, a Napoli) è stato riprodotto con i semplici materiali grezzi di base.

Sebbene questo presepe non riproduca un luogo reale, esso rispecchia fedelmente una mia idea, ispiratami da una leggenda cristiana, dal consueto paesaggio e dalla tipica architettura della costa della Campania, nonché da un altorilievo che si trova nella storica Chiesa dell’Annunziata, nella città di Torre del Greco, allocato in una nicchia del primo altare laterale, entrando sulla destra, il quale riproduce uno scorcio dell’antica città corallina.

Chi visita il mio presepe, anche attraverso le immagini che di esso propongo, deve immaginarsi come un pellegrino che si accosta dal mare (il mare della vita), e che, trasportato dalle onde, supera l’imboccatura di un placido porticciolo, col fanale rosso a sinistra e il verde a destra, per approdare alla spiaggia di un pacifico villaggio di pescatori, dove il paesaggio invernale è ravvivato dai colori della rigogliosa vegetazione che fa capolino oltre i muri di recinzione dei giardini e degli orti sparsi tra le rustiche case. Giardini odorosi, orti traboccanti di frutti, boschi silenti e pinete assolate ammaliate dallo stridulo canto delle cicale. Ovunque alberi dai tronchi contorti che si inerpicano fin sulla collina, dove, come un faro, si erge la torre saracena. L’antica torre di vedetta, simile a quella dell’Uncino sul litorale della città di Torre del Greco, che unisce e non divide, e che con la sua lanterna traeva in salvo, un tempo, i marinai nelle notti di tempesta, intercettando i loro navigli squassati dalle raffiche degli austri e dai venti di settentrione. A quella stessa luce, lanciata nel vuoto e sconfinato nulla, privo di appigli e di speranza, si aggrappavano i naufraghi. Questo è il luogo in cui, nella mia rappresentazione, si ritrovano tutti coloro che non sono stati risucchiati dall’abisso del nulla. Tutti coloro che, oltre ogni mondana apparenza, conservarono e ancora conservano acceso il loro lume interiore.

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Narra una leggenda, riportata in lingua greca, in aramaico, in ebraico e in svariati idiomi cananaici su ammuffiti rotoli di carta pecudina dagli scontrosi eremiti di Cappadocia, che nel giorno della nascita di Gesù, tutta la vegetazione negli orti del villaggio di Natzrat, ossia di Nazareth, e nella campagna di Betlemme, inaspettatamente rinverdì, e che anche gli alberi che da anni non avevano più dato segni di vita si ricoprirono di gemme e di pomi gonfi di succo. Questo fenomeno, come riferiscono le antiche pergamene della regione delle fate, era iniziato sin dall’arrivo di Giuseppe e Maria a Betlemme, e andava aumentando a mano a mano che ci si avvicinava alla città del censimento, dove, si dice, perfino i ceppi da ardere, che i pastori avevano ammonticchiato e messi ad essiccare nelle legnaie per l’inverno, emettevano di ora in ora freschi germogli. In tali racconti, frutto probabilmente della fervida immaginazione degli inavvicinabili anacoreti della Cilicia, del Ponto e della Galazia, i quali separatamente tramandarono le storie che conoscevano, si dice che i magi provenienti dalla Caldèa, nell’ultimo tratto del loro viaggio al seguito della stella cometa, ebbero la sensazione, e con essa la conferma, di trovarsi sulla via giusta proprio a causa dei segni che la natura dei luoghi che attraversavano e il paesaggio via via loro mostravano.

Il presèpe o presèpio è la rappresentazione plastica della natività di Gesù di Nazareth, visitato e adorato dai pastori e dai magi nel giorno dell’epifania come manifestazione visibile del Dio vivente rivelatosi in umana sembianza (teofania).

Il termine deriva dal lat. praesepe o praesepium, parola composta da prae- “innanzi” e saepes saepis (anche saeps saepis e sepes sepis) “siepe, barriera, chiuso, recinto, riparo, ricovero, rifugio”, e perciò “luogo riparato, protetto, riservato”, luogo raccchiuso da una recinzione, luogo recintato”. È lo “spazio chiuso, il luogo riparato, il ricovero, l’asilo e, per estensione, la tana, l’ovile, il nido, l’alveare, la stalla, la dimora, il luogo di vita domestica”. Per sineddoche è il tetto, il focolare, la mensa, la mangiatoia. In età medievale il presepe è anche chiamato cripia, termine mutuato dal francone krippja, indicante la mangiatoia, la rastrelliera per il fieno, da cui deriva l’italiano greppia, il tedesco krippe, l’inglese crib e il francese crèche (sostantivo femminile); termine quest’ultimo indicante, oltre che la mangiatoia e il presepe della tradizione cristiana, anche, per similitudine, il lettino per bambini munito di alte sponde e barriere lateali, nonché ogni luogo riservato ai bambini, ossia ai neonati e ai fanciullini in età prescolare. La greppia, infatti, è il vivaio, la nursery, il luogo dove si allevano e accudiscono i piccoli (non solo in ambito umano). È il luogo attrezzato riservato ai bambini (reparto maternità di un ospedale, asilo-nido, asilo infantile, scuola materna, camera di allattamento, stanza dei bambini, spazio giochi per bambini). “Greppia, Mangiatoia, Mensa” sono i nomi della Madre Terra e della Grande Madre. Il presepe è una rappresentazione del mondo. Non è infatti soltanto la capanna della Natività della rappresentazione cristiana, ma il mondo intero. Sia lo spazio intorno al sacro recinto (lo spazio profano, esterno al tempio e al bosco sacro), sia il mondo nel suo insieme, sono scenari di vita, e in quanto tali sono parte della grande rappresentazione che ha luogo nella casa comune di tutti i viventi. Di tale casa comune, il sacro recinto, la sacra mensa, il tempio, sono il cuore pulsante del nostro essere, ossia la parte più inviolabile della nostra natura, dove è conservata la memoria di quel che siamo e del mistero rappresentato dall’universo nella sua interezza. Ogni scenario che si dispieghi dinanzi al nostro sguardo, anche quando non è offerto nella forma della rappresentazione mistica, artistica, letteraria o poetica, è perciò un presepe, così come lo è ogni contesto di vita umana e di vita in generale. Presepe è lo spettacolo del mondo, uno squarcio di ciò che è e che accade intorno a noi, un ritaglio vivo della realtà in cui siamo calati e di cui molto poco sappiamo.

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È chiamato Ammasso del Presepe o Ammasso Alveare, ed è contrassegnato con la sigla M44, un ammasso stellare visibile ad occhio nudo, di età intorno ai 580 milioni di anni, situato a c. 500-600 anni-luce dalla Terra, tra le stelle γ e δ della costellazione del Cancro, chiamate rispettivamente Asellus Borealis (γ Cancri) e Asellus Australis (δ Cancri). L’ammasso fu indicato da Tolomeo come «la massa nebulosa nel seno del Cancro». È citato nel poema didascalico Phaenomena dal poeta greco Àrato di Soli, vissuto nel III secolo a.C., ed è menzionato da Ipparco di Nicea (190 – 120 a.C.) in un commentario ad un testo di Àrato. Nel 1609 venne studiato da Galileo, che con il suo cannocchiale vi annoverò 40 stelle, mentre con gli strumenti odierni se ne distinguono oltre 400, delle quali le più brillanti sono di classe spettrale A. La stella maggiore ha magnitudine 6,8. L’Ammasso del Presepe è formato da circa un migliaio di stelle tenute riunite per effetto della forza gravitazionale tra esse agente, per una massa totale pari a circa 500-600 masse solari.

Ammasso Stellare M44 nella costellazione del Cancro, chiamato "il Praesepe" o "l'Alveare", o anche "la Mangiatoia"

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