di Ciro A. R. Abilitato
già pubblicato in questo sito il 26-05-2011
IACCO E ZAGREO
Nella mitologia greca Iàcco è un dio piuttosto enigmatico, così come misteriosi appaiono non pochi personaggi che entrano nel suo mito.
È rappresentato come un fanciullo appena adolescente che reca una fiaccola, e che con passo di danza e strepitando conduce la rituale processione degli iniziati ai Misteri Eleusini. Si tratta infatti del dio che guidava il corteo misterico, e il suo nome indicherebbe che sia stato in origine una personificazione del saluto, in quanto “Iacche!” era il grido rituale col quale i fedeli usavano salutare le Dee di Elèusi, cioè Demètra (Cèrere per i Romani) e la figlia Persèfone (Prosèrpina). La tradizione è molto varia: lo si riteneva di volta in volta il figlio dell’una o dell’altra delle “Due dee”, o il marito di Demètra, oppure un figlio che Diòniso aveva generato in Frigia con la ninfa Aura.
Come figlio di Demetra (la dea della terra coltivata e delle messi), Iàcco avrebbe accompagnato la madre alla ricerca di Persefone rapita da Ade. Secondo la tradizione, infatti, Persefone, unica figlia di sua madre, mentre se ne stava nella pinura di Enna, in Sicilia, in compagnia delle ninfe e delle altre sue sorelle Atena e Artemide, figlie anch’esse di suo padre Zeus, poco preoccupandosi del matrimonio, fu rapita da suo zio Ade col beneplacito dello stesso genitore. Così, mentre la giovane si chinava per raccogliere un narciso (o un giglio), improvvisamente la terra si dischiuse dinanzi a lei, e Ade, apparsole, la trascinò con sé nel mondo degli inferi, inghiottendo anche un guardiano di porci di nome Eubùleo che si trovava lì accanto, e con lui una parte del suo branco. Prima di sparire nell’abisso, la ragazza aveva però lanciato un grido di spavento, che udito dalla madre, fece sì che questa si mettesse subito alla sua ricerca.
La leggenda dà così inizio alle lunghe peregrinazioni di Demetra, che in compagnia del piccolo Iàcco cerca la figlia in lungo e in largo per tutto il mondo conosciuto. Stando ad un episodio tramandatoci dalle leggende, le ricerche portarono Demetra ad Elèusi, dove venne cordialmente accolta da Bàubo e da suo marito Disàule, genitori di quattro figli, due maschi, Trittòlemo ed Eubùleo, e due femmine, Protònoe e Nisa. Bàubo invitò la dèa nella sua casa e le offrì per rifocillarla una minestra, che però Demetra non si sentì di accettare, in quanto le sue preoccupazioni le toglievano l’appetito. Si narra che allora Baubo, per sdrammatizzare la situazione e ridestare la dea dai suoi tormentosi pensieri, si voltò, e piegandosi come per fare un inchino nell’opposta direzione rispetto ai suoi ospiti, si sollevò le vesti e mostrò ad essi il suo tondo sedere. Al che Iacco scoppiò in fragorose risa e si mise ad applaudire festosamente, mentre la madre, vedendo il figlio così divertito, si rasserenò e cominciò anch’essa a ridere, finendo così con l’accettare la minestra. In segno di riconoscenza verso Bàubo e Disàule per l’ospitalità ricevuta, Demetra premiò il loro figlio Trittòlemo affidandogli il compito di seminare ovunque il grano con un carro trainato da draghi, che il giovane ricevette in dono dalla dea.
Come figlio di Persefone (dea dell’oltretomba e simbolo dell’immortalità dell’anima), Iàcco sarebbe da identificarsi con Zagrèo, che a sua volta è considerato una specie di “Zeus sotterraneo”, e quindi da assimilare ad Ade, mentre nell’ambito della religione orfica è ritenuto il “primo Diònisio”.
Secondo la leggenda, Zeus lo avrebbe procreato unendosi a Persèfone sotto forma di serpente. Una volta venuto al mondo, il piccolo Zagreo fu oggetto di un fortissimo affetto da parte del padre, il quale lo aveva destinato a succedergli nel dominio supremo del mondo. Tuttavia i destini avevano stabilito per lui diversamente, a causa della folle gelosia suscitata in Èra dagli amori adulterini del marito. Per sottrarlo quindi alla gelosia di Èra, Zeus affidò il piccolo Zagrèo ad Apollo e ai Curèti, i quali l’allevarono tenendolo nascosto nelle foreste del Parnàso. Èra però, non potendo vendicarsi direttamente su Zeus, cercò il piccolo ovunque, e riuscita a scovarlo, incaricò i Titàni di rapirlo. Zagrèo aveva la capacità di trasformarsi, ma a nulla gli valsero le numerose metamorfosi a cui ricorse per sfuggire ai suoi persecutori. Si era mutato in toro e giocava nei boschi del Parnaso quando i Titàni lo avvistarono. Essi allora si misero ad inseguirlo finché non lo catturarono, dopodiché lo fecero a pezzi. Le sue menbra furono da loro in parte mangiate subito crude e in parte messe a cuocere in un grande paiolo. Frattanto Apollo, avvertito dai Cureti del rapimento di Zagreo, corse a dirlo al re degli dèi, che immediatamente si recò sul luogo del misfatto. Guintovi però troppo tardi, non gli restò che uccidere con un colpo di fulmine i Titàni criminali, incaricando Apollo di raccattare per il Parnaso ciò che era rimasto del figlio. Apollo riuscì a rimediare ben poco, e poiché non se ne poteva far nulla, seppellì presso il suo tripode a Delfi i resti che aveva potuto recuperare. Pàllade riuscì invece a mettere in salvo il cuore ancora palpitante di Zagreo. Poiché Zeus non si rassegnava all’idea della perdita del figlio, Demètra radunò tutto ciò che restava di Zagrèo e lo consegnò al re degli dèi, mentre Atena gli portò il cuore, che Zeus inghiottì o assorbì, restituendo in vita tutt’intero il bambino. Si dice anche che, assorbito il cuore vivo di Zagreo, Zeus generò Dioniso con Sèmele, ovvero che fece assorbire il cuore del figlio a Sèmele, la quale poi, fecondata, poté generare Dioniso quale reincarnazione di Zagrèo. Questa leggenda, il cui protagonista si identifica con Iacco, appartenne alla teologia dei misteri orfici.
Riguardo alla leggenda che vuole Iacco figlio della ninfa frigia Aura (la Bellezza), si narra che questa era la più veloce di tutte le compagne di Artemide, e che Dioniso, invaghitosi di lei, la inseguì senza mai poterla raggiungere, finché Afrodite non la fece impazzire, sicché Aura finì col concedersi al suo inseguitore. Messa incinta da Dioniso, Aura partorì due gemelli, uno dei quali, il cui nome era Ìnaco, fu subito divorato dalla madre ormai priva di senno, mentre Iacco riuscì ad essere salvato da un’altra ninfa, pure amata da Dioniso, la quale lo affidò alle Baccanti di Eleusi, che lo tennero con loro e lo allevarono. La stessa Atena, si dice, lo allattò, mentre Aura si gettò nel fiume Sangario trasformandosi in fontana.
In definitiva, Iàcco può essere considerato un intermediario fra le dee eleusine e Dioniso, e quindi una specie di messaggero celeste, e si può forse pensare che dal suo nome si sia originato l’altro nome attribuito a Dioniso, quello di Bacco. Tuttavia, si è spesso riconosciuto che se ciò fosse stato vero, questo dualismo del dio sarebbe stato di per se stresso un mistero.
Nei culti dionisiaci le Baccanti, dilaniando le membra di un animale selvatico, che era ritenuto un’incarnazione del dio, e mangiando la sua carne cruda, celebravano in pratica lo sbranamento del corpo del primo Dioniso (cioè di Dioniso-Zagreo) da parte dei Titàni. Inoltre, così come i Titàni, che erano nati dalla terra, dopo aver mangiato il dio avevano acquistato una scintilla di divinità, similmente l’uomo era considerato in parte terreno e in parte divino, e scopo dei riti bacchici era quello di esaltarne la parte divina.
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