OLTRE IL MURO

IL PARCO VIRGILIANO DI PIEDIGROTTA

Un giardino può significare molte cose, e certamente è il luogo dove si può entrare in contatto con un mondo che non sospettavamo, un mondo di scoperta e di memoria, dove gli uomini possono riconoscersi e ritrovare se stessi.
Per entrare in un giardino segreto e prezioso bisogna però, come spesso accade, portarsi al di là di un muro o di un cancello. Un muro è del tutto impenetrabile alla vista, e perciò noi rimaniamo ciechi riguardo a ciò che nasconde, esclusi dalla realtà che custodisce. Un cancello ci pone invece in una condizione più favorevole. Non è così geloso del suo tesoro, non ne fa mistero, e ci lascia osservare al di là. Magari, attraverso l’intricato fogliame di alte siepi o tra un compatto filare d’alberi, ci mostra un paesaggio, una collina, una casa. Un cancello è più conciliante, e non è raro che si lasci attraversare dalle gracili propaggini di qualche arbusto odoroso o dai rami di una pianta carica dei suoi frutti.
Naturalmente, sia un muro che un cancello sono ostacoli per noi; barriere poste a protezione di qualcosa che deve avere un certo valore, e che perciò è da tenere protetto, al riparo da intrusioni indiscrete o dannose. E in verità, non c’è nulla di più delicato di un giardino.

Generalmente, solo in virtù di un’intuizione o sollecitati dalla curiosità siamo spinti ad entrare in un mondo protetto da un muro e a scoprire dietro di esso una realtà che prima non potevamo immaginare. Ciò che non conosciamo della vita è come il giardino che si trova al riparo di un muro, e che quindi spesso neppure cerchiamo; mentre ciò che, sia pure con qualche sforzo, riusciamo a scorgere attraverso i fumi della realtà quotidiana, è come il giardino protetto da un cancello. Ciò nondimeno, a volte un muro posto a protezione di un giardino incantato non può impedire che si scorgano, attraverso una crepa o al di sopra del suo bordo, le cime degli alberi, né che si sia investiti dall’alito fresco e odoroso che proviene dall’umida terra oltre di esso. Pertanto, anche se situato dall’altra parte di un muro, un mondo sconosciuto trova sempre il modo, se vuole, di mettersi in contatto con noi.
Talvolta non dobbiamo nemmeno allontanarci troppo da casa, né uscire dalla nostra città per trovare un simile angolo di mondo, ma solo spostarci in altre zone, percorrere strade e attraversare quartieri che già conosciamo. Bisogna solo sapere dove dobbiamo dirigerci.
Un giardino del genere è il Parco virgiliano di Piedigrotta, dove si trovano le tombe dei poeti Virgilio e Leopardi. È situato a pochi passi dall’imbocco della galleria per Fuorigrotta, sulla strada per Pozzuoli. Recarvisi ha un che di mistico; e chi si propone una simile meta non può farlo senza disporre opportunamente il suo animo, allontanando da sé qualsiasi sentimento che non si conformi a una piena ed autentica semplicità.

Non c’è quasi niente che vi si possa fare, tranne che starsene in pace. Non ci sono giostre per bambini o altre attrazioni, né chioschi dove si possa acquistare il giornale o prendere una bibita, né venditori ambulanti: è solo un luogo tranquillo, un mondo appartato e ovattato, in cui perfino il frastuono della città sembra arrestarsi davanti ad una parete invisibile. Si può solo passeggiare o starsene seduti su una panchina. Forse anche per questo il luogo è poco frequentato. Solo qualche tenue suono vi giunge di quando in quando, ma è gradevole, non più fastidioso, perché la stessa caotica città da cui veniamo, qui ci appare lontanissima, e sotto un aspetto totalmente diverso, del tutto spoglia della sua consueta aggressività. Gli stessi rumori nei quali siamo quotidianamente immersi, e dai quali ci siamo appena tirati fuori venendo in questo luogo, qui è come se ci giungessero da un tempo lontano, sicché anch’essi riescono a parlarci. Qui tutto è affidato alla memoria e ad un intimo sentire. E non essendoci distrazioni, si è docilmente costretti a non rifiutare la propria compagnia, né quella del genius loci che si prende cura di noi e che ci fa da guida.
Il giardino non è neanche grande, ma modesto. Generalmente un parco è un terreno recintato di grande estensione, ma qui il nome gli vale esclusivamente per il fatto che è un luogo protetto da disposizioni speciali dello Stato. Per il resto non è che un pezzetto di verde e di cielo ritagliato nella città. C’è anche un’attenta sorveglianza, e molte telecamere collocate tra gli alberi e negli angoli più impensati spiano il visitatore. Ma non è fastidioso. Questo giardino è infatti un luogo speciale, ed è bene che sia protetto così. Ci sono verdi aiuole ben rasate oltre i bassi muretti dell’ampio viale che lo attraversa. Il viale sale in lieve pendio tra siepi squadrate di bosso e di biancospino, stretto sui lati da alti pini marittimi. L’ombra di questi alberi secolari dal nobile portamento si adagia docilmente sul terreno coperto di felci e di aghi di pino e sulle aiuole qua e là ravvivate dai colori dei fiori dell’acetosella, della centaurea, del cumino e del senecione. In angoli più riposti l’edera si arrampica su muri ricoperti di muschio e si dirama al suolo tra gli esili steli della ginestra dei carbonai. In primavera i rosolacci punteggiano di scarlatto i morbidi praticelli, mentre le piante aromatiche riempiono l’aria delle loro penetranti fragranze.
Ci si trova nel cuore della Napoli antica. Qui è sepolta la sirena Partenope. La pace che regna in questo luogo è davvero incredibile. Ad una estremità del parco una rupe tufacea isolata si eleva al di sopra delle cime dei pini e di antichi cipressi, e consente a chi ne raggiunge la sommità di visitare la spoglia tomba del poeta Virgilio, nonché di spaziare con lo sguardo sull’incantevole panorama del golfo. Chi si arrampica fin lassù può vedere chiaramente al centro della pittoresca veduta della città e del mare il Castel dell’Ovo, con la scura mole del Vesuvio che si staglia sullo sfondo. In basso, sullo spiazzo antistante la rupe, sul versante che guarda a nord del ripido costone tufaceo, si apre un vasto antro buio, mentre sul fianco orientale si trova l’ingresso della Grotta vecchia per Pozzuoli, che ha assicurato dall’antichità fino ai primi del Novecento il rapido collegamento tra Napoli e i Campi Flegrei. In questa stretta galleria esisteva, in età augustea, un antico mitrèo, a cui fa cenno lo scrittore latino Petronio Arbitro nel suo Satyricon. A destra dell’ingresso della galleria, un tratto dell’Acquedotto romano del Serino si addentra nella massa tufacea della collina di Posillipo.

Foto Ciro A. R. Abilitato - Napoli, Tomba di Virgilio_014

o se a Napoli presso, ove la tomba
pon di Virgilio un’amorosa fede,
vedeste il varco che del tuon rimbomba
spesso che dal Vesuvio intorno fiede,
colà dove all’entrar subito piomba
notte in sul capo al passegger che vede
quasi un punto lontan d’un lume incerto
l’altra bocca onde poi riede all’aperto

(Giacomo Leopardi, Paralipomeni, III,4)

Il parco non è però interessante solo perché ricco di memoria storica, ma soprattutto perché è davvero un luogo incantato. Di solito i luoghi della memoria e quelli della scoperta sono distanti fra loro ed assumono rilevanza in momenti distinti della nostra vita, mai sovrapponendosi. Qui, invece, essi si estendono l’uno nell’altro. È per questo che qui la logica delle cose appare del tutto diversa dal consueto, se non altro più nitida. Ci si accorge subito, allora, che questo è un nodo spazio-temporale, un centro di forze misteriose.
In questo luogo non valgono le leggi che regolano la vita ordinaria. Qui è diverso: ogni cosa ci rivela un differente aspetto di sé. Ma per ottenere qualcosa dalla piacevole passeggiata, bisogna porsi con animo sobrio nei confronti del giardino. È esattamente come in quella favola in forma di enigma di Goethe, dove un vecchio barcaiolo, dopo aver traghettato sull’altra sponda, nel bel mezzo della notte, e dopo un temporale, due grossi fuochi fatui, dice loro di riprendersi le monete d’oro con cui vogliono ripagarlo, perché l’unica ricompensa che può accettare è il dono di frutti della terra. Perciò, soltanto dopo che avrà ricevuto tre cavoli cappuccio, tre carciofi e tre grosse cipolle, potrà lasciarli andare. Ma i fuochi fatui non hanno i frutti della terra richiesti dal vecchio, né sanno come procurarseli: hanno solo moltissimo denaro e una gran fretta di andarsene.
Nella vita concitata di ogni giorno sono spaventosamente rari i momenti in cui l’anima può ritrovare se stessa, e in cui la vita dei sensi e l’ordinaria razionalità, arretrando in occasione di particolari stati interiori, lasciano libero spazio alla parte più pura di noi, la quale può così sostare indisturbata, senza frapposizione di veli, dinanzi allo spettacolo del mondo e allo specchio del ricordo e della coscienza. Qualcosa del genere a volte capita quando si fa esperienza di un ineffabile dolore, o quando si ritrova qualcuno che si credeva perduto, oppure in certi momenti di tenera malinconia, durante un viaggio solitario, dopo esperienze di particolare bellezza e intensità, o al rimettersi da una malattia, allorché ci si apre alle più semplici cose della vita. In ogni caso, queste esperienze, che non sono semplici stati d’animo, e che riguardano unicamente noi e la nostra interiorità, sono piuttosto rare per l’uomo d’oggi, che soffre quasi costantemente di un certo disagio, perché nel quotidiano la nostra vita interiore non riesce a manifestarsi pienamente. È come se fosse compressa, come se non avessimo il coraggio di confrontarci con noi stessi, come se ci vergognassimo della parte migliore di noi. E invece è proprio nel dialogo con questa parte di noi che ha origine l’intreccio di quei pensieri che ci conducono attraverso esperienze che possono apparirci incomprensibili, finché non scopriamo il filo conduttore del nostro viaggio. Ed è così che vediamo via via farsi chiare le più diverse connessioni tra le cose.
In realtà, noi possiamo fingere con tutti e col mondo intero, ma non ci è permesso di farlo con noi stessi. Il motivo per cui di solito ci manteniamo su di un piano di piatta finzione anche con noi stessi va ricercato nel fatto che il più delle volte crediamo di essere fondamentalmente sbagliati, e che tutto quello che ci viene da fuori sia migliore di quanto ci venga da dentro. Per questo siamo un po’ tutti affetti da bigottismo sociale. E la nostra interiorità, naturalmente, ne soffre, non può sopportare questo, né può tollerare di essere trascurata troppo a lungo. Di conseguenza, reclama anch’essa un po’ di attenzione e di cura. Il giardino ci aiuta in questo, perché distrae piacevolmente. C’è tutto un mondo da scoprire tra i fiori, le chiome e le radici degli alberi, tra le siepi, le erbe e nel variegato paesaggio: un formicaio, un maggiolino, un fascetto di nepetella sono fenomeni che possiamo appena comprendere. Noi conosciamo ben poco dell’universo che abitiamo, le sue leggi più semplici ci sfuggono. «La realtà ama nascondersi», disse Eraclito; «la verità è nell’abisso», ribadì Democrito; e Aristotele, più discorsivo, aggiunse che «gli uomini sono sufficientemente dotati per il vero e raggiungono per lo più la verità, la quale è sempre di fronte a noi, giacché ne siamo circondati e fasciati, ma il nostro intelletto deve abituarsi a vederla, proprio come i nostri occhi devono abituarsi a vedere la luce di cui siamo circondati e inondati».
La comprensione della realtà è un processo che avviene per gradi. Solo l’intuizione sembra derogare a questa legge, perché ci mette di colpo davanti agli occhi la soluzione di un problema; ma moltissimo dipende dalla disposizione e dalla personale sensibilità per le cose che sono o non sono alla portata dei nostri sensi. Nessuna esperienza, ordinaria o straordinaria che sia, che provenga dalla realtà esterna o interna, e che sia strana, bizzarra, familiare, misteriosa o ordinaria, può mai essere, in origine, un fatto oggettivo.
Non c’è bisogno di deplorare che non venga insegnata ai giovani l’arte di conoscere e di sognare, e che invece dello stupore e della passione s’insegni piuttosto la certezza, la cieca fede in un mondo scontato e una quantità di altre cose che di solito, invece di aprire lo spirito ad una visione più universale e intensa delle cose, la restringono in un’ottica piuttosto limitata ed epidermica. Non viene insegnato l’entusiasmo, il rapimento e il valore del dubbio, che sono parte così importante della capacità di comprendere la realtà e di capire sé stessi. Si confonde spesso ciò che è semplicemente un’istruzione di base o una tecnica o un sapere professionale con ciò che è la vera dimensione del conoscere. Si dimentica troppo spesso che il sapere presuppone proprio ciò che da nessuna scuola o università può essere insegnato. È questa una delle ragioni per cui, appena superata l’età dell’adolescenza, si smette solitamente di sognare e si comincia a desiderare, senza mai più trovare il modo di soddisfare i propri sogni più genuini. Personalmente ritengo che chi si precluda questa libertà di sognare non potrà mai più essere sostanzialmente libero. Anche il fatto che si desideri tutto, benché non ci manchi quasi nulla, insospettisce. Talvolta, se il desiderare, per cause ormonali o digestive, momentaneamente si attenua, desideriamo di desiderare; così, preoccupati di essere mancanti di qualcosa rispetto agli altri (cioè di non avere), credendo di essere stati colpiti da un male, corriamo dal medico per farci prescrivere una cura.

Il contatto col verde è salutare, e trattenersi in un giardino giova tanto al corpo quanto allo spirito, ma così come per la ginnastica è necessario sapere quali esercizi si devono compiere e come debbano essere eseguiti, allo stesso modo, quando si desidera rinfrancare lo spirito, è indispensabile sapere come si deve procedere. Spesso il modo migliore è quello di farsi un quadro generale del luogo in cui ci si trova, esplorandolo quanto basta, e poi imparare a distinguere i luoghi della memoria da quelli della scoperta. Di solito non è possibile una netta distinzione, ma i luoghi più in ombra, certe forme delle rocce, muri sgretolati ricoperti di lichene, talune radici che sembrano essere state scolpite dal tempo, un antro annerito, antichi manufatti, un dirupo, e tutto quanto si presenti sotto un aspetto più o meno incolto, rozzo, selvatico, e anche sinistro o terrificante, e che nondimeno percepiamo come sublime, e che genera in noi una sorta di fascinazione o un inspiegabile timore misto a curiosità, fa parte del luogo del mito, della memoria e della coscienza storica. Gli oggetti e i luoghi che ci appaiono più perfetti, più arditi o essenziali nelle forme, nei colori, nella geometria, e che generano in noi una piacevole sensazione di novità, di equilibrio e di armonia, esercitando una inspiegabile attrazione verso spazi appartenenti all’ignoto (penso al monolito di Stanley Kubrick in 2001 Odissea nello spazio), sono invece i luoghi della creatività, del sentimento poetico e della conoscenza astratta.
La differenza più significativa tra questi due tipi di luoghi, è che a partire dal punto dello spazio-tempo in cui ci si trova, e nel quale ciascuno di noi diviene pura e semplice coscienza, o “occhio che vede”, il primo luogo consente di procedere indietro nel tempo, mentre il secondo permette di guardare in avanti. In altre parole, ciascuno di questi luoghi funge da medium, sicché possiamo liberamente spostarci come desideriamo verso il passato o il futuro semplicemente stabilendo con essi un qualche contatto. Ci si immerge così in una realtà più nascosta rispetto a quella immediata. Coloro che sono adusi al contatto con la natura sapranno già che certi fenomeni, come il mesto trilleggiare dei grilli all’imbrunire e sotto le stelle, e il diurno frinire delle cicale tra i pini nella stagione estiva, il baluginare di un faro lontano nella notte, e il mobile luccichio di una distesa d’acqua sotto i raggi lunari, sono i segni adimensionali dell’inizio. Ci sono infatti segnali in natura che facilitano l’individuazione dei luoghi dell’annullamento, che sono quelli da cui si può partire per un viaggio di memoria o di scoperta. Anche qui un pensiero semplice può essere il primo elemento per la costruzione di un intero edificio, il quale, a seconda di come si procederà nella sua edificazione, potrà durare nel tempo molto meglio di una costruzione in cemento armato o crollare al primo alito di vento, ovvero, al primo battito di ciglia. Affinché ciò non accada, tutte le parti di questo edificio devono essere disposte secondo un preciso ordine consequenziale, e ogni mattone di pensiero deve essere coerentemente connesso ai contigui, in modo che il singolo giustifichi il tutto e il tutto ogni sua parte. Ma a questo non si arriva con la semplice razionalità. Ci vuole anche molta intuizione.
Comunque sia, è senz’altro salutare, di quando in quando, avvederci del fatto che la nostra esistenza non è solo mera esteriorità, e che portiamo in noi un qualcosa che rimane immutato e incorrotto da tutto quanto è là fuori, proprio come un giardino tenuto protetto da intrusioni indiscrete. Chi sa essere sincero con se stesso, il più delle volte si piega volentieri all’intimo dialogo con questa parte sconosciuta di sé, emergendo poi da tali momenti con una diversa consapevolezza delle cose. Quest’atto di ascoltarsi e di osservare le cose del mondo sospendendo ogni giudizio precipitoso, come quando ci si fa cullare dal sommesso gorgoglio di una fonte, è l’unico modo per poter percepire la logica delle cose e degli eventi, e di stabilire un sia pur tenue contatto con ciò che si trova oltre la nostra ordinaria esperienza della vita. È vero quel che dice Borghes: «La musica, gli stati di felicità, la mitologia, i volti scolpiti nel tempo, certi crepuscoli e certi luoghi, vogliono dirci qualcosa, o qualcosa dissero che non avremmo dovuto perdere, o stanno per dirci qualcosa. Il fatto estetico [nelle cose del mondo] sta forse proprio in quest’imminenza di una rivelazione che non si produce».
In quanto luogo di riflessione e di memoria, il Parco virgiliano di Piedigrotta rappresenta per me che scrivo certamente il giardino per antonomasia. Non è infatti un posto qualsiasi, ma un tempio all’aperto; un luogo in cui agiscono forze misteriose, e dove non ci sarebbe da stupirsi se un rabdomante si vedesse sfuggire di mano la sua forcina a causa delle forti vibrazioni.

Ciro A. R. Abilitato

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7 risposte a OLTRE IL MURO

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