ILLUSIONE, CONOSCENZA E REALTÀ

di Ciro A. R. Abilitato

Che ne sa un pesce dell’acqua in cui nuota per tutta la vita?

Albert Einstein

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Ab esse ad posse valet consequentia, a posse ad esse non valet

[Dall’essere al possibile vale la consequenzialià logica, dal possibile all’essere non sussiste nesso di consequenzialità].

Questo principio esprime la liceità di argomentare dai fatti della realtà alla loro possibilità, mentre nega validità ad argomentazioni che procedano dalla possibilità alla realtà fattuale. In pratica, da ciò che è a ciò che può essere (che è possibile) vale la legge della consequenzialità logica, mentre da ciò che può essere (che si ipotizza come possibile) a ciò che è (che è realtà di fatto) non vale la legge della consequenzialità.

In altre parole, se di qualcosa si ha prova nella realtà, è lecito inferire che tale cosa esiste o accade nella realtà. Se di una cosa non si ha prova nella realtà, non è lecito inferire che essa esista, possa esistere o accadere nella realtà.

Questo assioma, che di primo acchito sembra fare assoluta chiarezza tra ciò che effettivamente è e ciò che è solo possibile o probabile, se sviluppato con criterio empiricocritico, conduce a una conclusione problematica che potremmo a buon diritto chiamare il punto di vista humiano, dal nome del filosofo scozzese David Hume (Edimburgo 1711 – ivi 1776), il più radicale degli empiristi britannici. Infatti, se la realtà ipotizzata non contraddice i fondamenti della realtà conosciuta, allora la realtà ipotizzata è una realtà possibile. Se invece la realtà ipotizzata contraddice i fondamenti della realtà conosciuta, la realtà ipotizzata o è illusoria o descrive la realtà effettiva. Tuttavia, poiché non può mai aversi una conoscenza compiuta della realtà effettiva, allora anche la realtà di cui sappiamo qualcosa non è la realtà vera, ma solo una realtà possibile, o meglio, momentanea, e perciò per molta parte illusoria: è la realtà come noi la vediamo oggi in base a ciò che di essa abbiamo appreso. Di conseguenza, la realtà che ci sta davanti, ammettendo che sia sempre la stessa, si mostra ai nostri occhi di giorno in giorno diversa nella misura in cui la nostra conoscenza di essa progredisce. Per questo motivo la conoscenza della realtà reca sempre in sé elementi di incertezza. La nostra rappresentazione della realtà non è che il frutto di nostre congetture incomplete e di nostre convenzioni, sicché l’unica cosa su cui possiamo fare affidamento è la fiducia che esista qualcosa d’altro, come pure la curiosità che ci spinge a sapere qualcosa di più di questa realtà attraverso la ricerca di una regola illuminante, o quantomeno rassicurante. Da una parte c’è dunque la realtà, che noi mai conosceremo compiutamente in tutti i suoi aspetti, e dall’altra l’idea che noi ci siamo fatta della realtà, che è sempre un’idea parziale. Attraverso l’osservazione e l’esperienza, la realtà gradualmente si dischiude dinanzi al nostro cammino, pur senza mai svelarsi del tutto. Per questo motivo, pure essendo il mondo un ente reale, stabile quanto basta perché possa avere esistenza in una forma determinata (almeno per un certo tempo), noi non vediamo la realtà quale essa è in sé stessa, bensì una minuscola parte della realtà vera, mentre per la reastante parte non vediamo che una realtà illusoria, fondata su congetture e ammalianti suggestioni percettive. In altri termini, brancoliamo letteralmente nel buio alla luce di una flebile torcia. Di conseguenza, tutte le nostre più solide conoscenze intorno alla realtà che osserviamo non sono che ipotesi probabilistiche, ovvero quantistiche, sulla realtà in generale in cui ciascuno di noi si trova improvvisamente calato insieme a tutti gli altri.

Maurits Cornelis Escher (Leeuwarden, 17 giugno 1898 – Laren, 27 marzo 1972) – RELATIVITY, 1953

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